Questo articolo è presente sul Corriere della Sera versione online. Le insalate dei fast food arrivano fino a 823 calorie!!!!!!!!!!
Antiobesità Un giudice impone alle grandi catene di ristorazione di indicarle. Ma è polemica
Calorie obbligatorie nei menù
New York, la svolta salutista
Il sindaco Bloomberg: «Più consapevolezza di ciò che mangiamo» L´associazione ristoratori: «Misura eccessiva»
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
NEW YORK - Un frullato al cioccolato di McDonald´s contiene 1.160 calorie mentre un cheeseburger di Wendy´s ne contiene 980 e un piatto di guacamole di avocado con crocchette di mais di Chipotle (catena di fast food stile tex-mex) valgono 750 calorie. Nonostante la loro promessa di essere «sane» e «ipocaloriche », persino le insalate della maggior parte dei fast food arrivano fino a 823 calorie. A partire da ieri le grandi catene della ristorazione americana come McDonald´s, Dunkin´Donuts e Starbucks hanno l´obbligo di esporre il numero delle calorie dei loro prodotti sui menù.
Lo ha deciso un giudice federale della Grande Mela che ha disposto per la città di New York questa nuova regola, volta ad arginare l´epidemia di obesità che affligge la popolazione, soprattutto tra i giovani, poveri e minoranze. Il nuovo regolamento, che interessa tutte le catene con almeno 15 esercizi attivi nel territorio Usa, riguarderà circa 2.400 ristoranti nella sola Manhattan. «La misura aiuterà i newyorkesi ad avere una maggiore consapevolezza di quello che mettono sotto i denti», dichiara il sindaco Michael Bloomberg, ideatore dell´iniziativa. «Non bisogna dimenticare che l´uomo è ciò che mangia».
Secondo studi ufficiali realizzati dal comune di New York, nei prossimi cinque anni l´etichettatura sulle calorie eviterà a 130 mila newyorkesi di diventare obesi e a 30 mila di ammalarsi di diabete. In favore del provvedimento sono subiti scesi in campo i media. A partire dal New York Times, che in un editoriale sottolinea come «negli ultimi due anni il peso dei newyorchesi è aumentato di 5 milioni di chili, soprattutto nei quartieri abitati da poveri e minoranze». «In questi ghetti ogni mese si consumano ben 10 milioni di pasti fast food - incalza il Times-e le malattie come il diabete, l´ipertensione e le cardiopatie hanno raggiunto livelli epidemici».
Di ben altro avviso sono invece le associazioni dei ristoratori. «Non abbiano nulla in contrario che i singoli ristoranti, che conoscono bene la loro clientela, procedano su base volontaria a fornire questo tipo di informazione », ha commentato il portavoce della associazione ristoranti Chuck Hunt. «Ma ci sembra eccessivo che le calorie debbano essere fornite per legge». Mentre catene nazionali come Starbucks, Quiznos, Subway, Chipotle, Jamba Jus, Auntie Anne´s e Chevys hanno subito aderito all´iniziativa, altre sono decise a dichiarare guerra alla legge che secondo gli addetti ai lavori rischia di minare i loro profitti.
Tra questi McDonald´s, Burger King, Kfc, Domino´s, Pizza Hut, Taco Bell. «Le informazioni relative alle calorie sono già disponibili online-ribattono- e quindi non c´è alcun bisogno di stamparle sul menù». Ma secondo il giudice del Southern District di New York, Richard Holwell, la normativa da lui varata dovrebbe contribuire a produrre una sorta di effetto «culturale » sul resto dell´America, dove l´obesità è considerata una delle emergenze sanitarie più gravi. «Sembra ragionevole attendersi che, se non tutti, almeno alcuni dei clienti prendano visione dei menù, e dunque delle calorie di ciò che si accingono a mangiare - ha detto il giudice Holwell -. Magari in questo modo finiranno per scegliere qualcosa che contiene qualche caloria in meno. E questa loro scelta a poco a poco comincerà ad avere una qualche incidenza sull´obesità». I responsabili dell´Assessorato alla Sanità si sono detti convinti che la semplice pubblicazione sul menù delle calorie contenute nei cibi dovrebbe nell´arco di qualche anno contribuire a salvare milioni di vite umane.
sabato 20 marzo 2010
ALCUNI BENEFICI DEGLI OMEGA 3
Evitano l'accumulo dei grassi più pericolosi, trigliceridi e colesterolo, sulle pareti arteriose, bloccando l'indurimento dei vasi.
Proteggono il sistema cardiovascolare: il sangue, reso più fluido dall'assenza dei grassi cattivi, circola meglio, facendo funzionare bene il cuore e allontanando il rischio di malattie coronariche, ipertensione, arterosclerosi e trombosi.
Attenuano le reazioni infiammatorie quali, asma ed artrite reumatoide.
Favoriscono la vitalità delle cellule del sistema nervoso centrale, con funzioni antidepressive
Aumentano le difese immunitarie e rafforzano le difese della pelle
Utili nella terapia dell'artrite e di altri disturbi infiammatori.
Coadiuvanti nella cura della psoriasi e di altre patologie cutanee.
Anticancerogeni.
Agiscono sul microcircolo (utile per cellulite ed edemi).
Produzione di ormoni.
Facilitazione nella risposta immunitaria e antinfiammatoria in caso di ferite e infezioni.
L´integrazione con olio di pesce è adeguata per la giusta tutela dell´attività articolare e la cura dei problemi attinenti a questi apparati ossei.
Indagini di tipo epidemiologico hanno convalidato il merito dell´attività dell´olio di pesce in opposizione a problemi articolari.
Sono stati eseguiti studi su popolazioni aventi una nutrizione ricca di pesce e sono state individuate mutazioni meno ripetute e non caratterizzate da evidenze da irritazioni consolidate.
Una ricerca pubblicata da Psychosomatic Medicine evidenzia che i grassi omega-3 aiutano anche a mettere un freno al nervosismo. Lo studio ha dimostrato che bassi livelli di questi grassi aumentano il rischio di soffrire di nevrosi. Inoltre un apporto abbondante di omega-3 aumenta i livelli di serotonina e dopamina, i cosiddetti ormoni del buonumore.
Gli acidi grassi omega-3 a lunga catena (ed in particolare l´acido eicosapentenoico, o EPA, e l´acido docosaexenoico, o DHA, che sono i composti di questa famiglia veramente importanti per l´organismo) sono presenti in quantità assai ridotte in gran parte degli alimenti più comuni con la sola eccezione del pesce e dei suoi derivati.
La dose giornaliera consigliata varia dai 3g al giorno (di omega 3 purissimi) fino a dosi molto più consistenti nel caso di patologie da trattare.
Proteggono il sistema cardiovascolare: il sangue, reso più fluido dall'assenza dei grassi cattivi, circola meglio, facendo funzionare bene il cuore e allontanando il rischio di malattie coronariche, ipertensione, arterosclerosi e trombosi.
Attenuano le reazioni infiammatorie quali, asma ed artrite reumatoide.
Favoriscono la vitalità delle cellule del sistema nervoso centrale, con funzioni antidepressive
Aumentano le difese immunitarie e rafforzano le difese della pelle
Utili nella terapia dell'artrite e di altri disturbi infiammatori.
Coadiuvanti nella cura della psoriasi e di altre patologie cutanee.
Anticancerogeni.
Agiscono sul microcircolo (utile per cellulite ed edemi).
Produzione di ormoni.
Facilitazione nella risposta immunitaria e antinfiammatoria in caso di ferite e infezioni.
L´integrazione con olio di pesce è adeguata per la giusta tutela dell´attività articolare e la cura dei problemi attinenti a questi apparati ossei.
Indagini di tipo epidemiologico hanno convalidato il merito dell´attività dell´olio di pesce in opposizione a problemi articolari.
Sono stati eseguiti studi su popolazioni aventi una nutrizione ricca di pesce e sono state individuate mutazioni meno ripetute e non caratterizzate da evidenze da irritazioni consolidate.
Una ricerca pubblicata da Psychosomatic Medicine evidenzia che i grassi omega-3 aiutano anche a mettere un freno al nervosismo. Lo studio ha dimostrato che bassi livelli di questi grassi aumentano il rischio di soffrire di nevrosi. Inoltre un apporto abbondante di omega-3 aumenta i livelli di serotonina e dopamina, i cosiddetti ormoni del buonumore.
Gli acidi grassi omega-3 a lunga catena (ed in particolare l´acido eicosapentenoico, o EPA, e l´acido docosaexenoico, o DHA, che sono i composti di questa famiglia veramente importanti per l´organismo) sono presenti in quantità assai ridotte in gran parte degli alimenti più comuni con la sola eccezione del pesce e dei suoi derivati.
La dose giornaliera consigliata varia dai 3g al giorno (di omega 3 purissimi) fino a dosi molto più consistenti nel caso di patologie da trattare.
GLI OMEGA 3 FANNO BENE
Gli Omega 3 fanno bene al corpo e all´umore
Ai già noti effetti salvacuore e antinfiammatori,
si aggiungono ora i benefici sullo stato d´animo e sull'atteggiamento mentale
... l´appellativo di grassi "buoni".
Ecco il motivo: i grassi polinsaturi, a differenza di quelli saturi, aiutano a stabilizzare il livello di colesterolo nel sangue e talvolta ad abbassarlo. Ma non solo.
Recenti studi hanno dimostrato che l´assunzione regolare di Omega 3 previene i disturbi cardiovascolari, combatte l´ipertensione, è utile nella terapia dell´artrite e di altri problemi infiammatori, viene considerata un valido supporto nella cura della psoriasi e di altre patologie cutanee.
Senza contare gli effetti positivi sulla microcircolazione (utile per cellulite ed edemi) e sulla risposta immunitaria e antinfiammatoria in caso di ferite e infezioni. Dove si trovano, quanto assumernePer sfruttare al meglio i benefici degli Omega 3, il trucco è semplice:
basta consumare dalle due alle tre porzioni settimanali di pesce, in particolare sgombro, salmone, merluzzo, pesce spada, tonno, trota, sardina e aringa,
(possibilmente cotto al vapore o alla griglia), e mangiare spesso anche cereali, noci, e legumi. Esistono, inoltre, in commercio degli alimenti a cui gli acidi grassi polinsaturi sono stati aggiunti come supplemento alla composizione originaria.
Ne sono un esempio il latte arricchito in Omega 3 o le uova addizionate della stessa sostanza.
L´importante è leggere sempre con attenzione l´etichetta che deve riportare l´esatta composizione del cibo, comprese le integrazioni.
Ai già noti effetti salvacuore e antinfiammatori,
si aggiungono ora i benefici sullo stato d´animo e sull'atteggiamento mentale
... l´appellativo di grassi "buoni".
Ecco il motivo: i grassi polinsaturi, a differenza di quelli saturi, aiutano a stabilizzare il livello di colesterolo nel sangue e talvolta ad abbassarlo. Ma non solo.
Recenti studi hanno dimostrato che l´assunzione regolare di Omega 3 previene i disturbi cardiovascolari, combatte l´ipertensione, è utile nella terapia dell´artrite e di altri problemi infiammatori, viene considerata un valido supporto nella cura della psoriasi e di altre patologie cutanee.
Senza contare gli effetti positivi sulla microcircolazione (utile per cellulite ed edemi) e sulla risposta immunitaria e antinfiammatoria in caso di ferite e infezioni. Dove si trovano, quanto assumernePer sfruttare al meglio i benefici degli Omega 3, il trucco è semplice:
basta consumare dalle due alle tre porzioni settimanali di pesce, in particolare sgombro, salmone, merluzzo, pesce spada, tonno, trota, sardina e aringa,
(possibilmente cotto al vapore o alla griglia), e mangiare spesso anche cereali, noci, e legumi. Esistono, inoltre, in commercio degli alimenti a cui gli acidi grassi polinsaturi sono stati aggiunti come supplemento alla composizione originaria.
Ne sono un esempio il latte arricchito in Omega 3 o le uova addizionate della stessa sostanza.
L´importante è leggere sempre con attenzione l´etichetta che deve riportare l´esatta composizione del cibo, comprese le integrazioni.
sabato 13 marzo 2010
Corretta alimentazione
GUIDA PER UNA CORRETTA ALIMENTAZIONE
COSA E QUANTO MANGIARE PER SEGUIRE UNA DIETA CORRETTA Per soddisfare le esigenze del nostro organismo è necessario introdurre tutti i principi nutritivi in proporzioni diverse. La piramide alimentare è un ottimo sistema per capire cosa mangiare: alla base ci sono i carboidrati (cereali, pasta, pane, riso e patate), sopra ci sono frutta e verdura insieme a latte e yogurt, quindi uova ed insaccati, formaggi, carne, legumi, pesce ed infine grassi da condimento e zucchero (di cui è consigliato un uso limitato).
Precisamente la dieta dovrebbe essere composta da: Carboidrati 55-65% di cui semplici (zucchero) al massimo un 10% e complessi (pane pasta, riso, patate) il restante 45%, Lipidi 30%, Proteine 15% (precisamente 1 grammo per Kg di peso corporeo ideale).
ALIMENTAZIONE E SISTEMA IMMUNITARIO
Il nostro sistema immunitario ci protegge da batteri, virus e altri organismi cause di malattie. È un complesso ed efficiente sistema di difesa. Può la nostra alimentazione influire sul sistema immunitario?
Il sistema immunitario ci protegge dalle malattie. Data la sua complessità, è estremamente difficile stabilire quale possa essere l’influenza della nostra alimentazione, tuttavia, i risultati di alcune ricerche hanno individuato che alcuni fattori dietetici incidono sulla reazione immunitaria umana. L’apporto di energia sembra incidere in modo significativo sull’attività immunitaria, infatti la popolazione sottoalimentata corre maggior rischio di infezioni. Anche i regimi dimagranti che prevedono un apporto giornaliero inferiore a 1200 calorie, possono indebolire la funzione immunitaria; un’ottima ragione per evitare le dannose “diete-lampo”. Per contro, anche un eccessivo apporto di energia può compromettere la capacità del sistema immunitario di combattere le infezioni. L’obesità, infatti, è spesso legata ad un aumento delle malattie infettive. Le persone obese, inoltre, sono più esposte all’insorgenza di cardiopatie coronariche che, a loro volta, sono collegate ad alcune alterazioni della funzione immunitaria. Ridurre la quantità di grassi nella propria alimentazione è importante al fine di tenere sotto controllo il peso, ma sembra anche incidere sul buon funzionamento del sistema immunitario. Le diete ad alto contenuto di grassi sembrano ridurre l’efficacia della reazione immunitaria facendo aumentare il rischio di infezioni. La riduzione del contenuto di grasso nella dieta può aumentare l’attività immunitaria, che può non solo combattere le infezioni, ma anche rafforzare le cellule immunitarie che combattono le cellule tumorali. Ma attenzione, non è importante solamente la quantità digrasso, è determinante anche la sua origine. Poiché abbiamo bisogno di un apporto equilibrato di diversi acidi grassi, è importante includere nella nostra dieta pesce azzurro, noci, olio di soia o oli di semi. Il consumo regolare di prodotti caseari fermentati quali lo yogurt o il kefir (prodotto da fermentazione del latte con una flora composta da lieviti e batteri lattici) può rafforzare le difese immunitarie dell’intestino. Sono tuttavia necessarie ulteriori ricerche per completare questo studio. Per lavorare efficacemente, il sistema immunitario ha bisogno di un apporto regolare di vitamine e sali minerali. Ciò può essere ottenuto attraverso un regime alimentare ben equilibrato che prevede il consumo regolare di frutta e verdura e di prodotti caseari fermentati come lo yogurt. Fino ad oggi, la maggior parte delle ricerche dimostra che gli integratori di vitamine e minerali non sono necessari per stimolare una particolare reazione immunitaria in soggetti sani e ben nutriti. Mentre, uno studio recente condotto su persone anziane ha dimostrato che integratori possono rinforzare il sistema immunitario.
LE INTOLLERANZE ALIMENTARI: CHE COSA SONO?
Per intolleranza si intende la reazione anomala dell'organismo ad una sostanza estranea, non mediata dal sistema immunitario. Un esempio classico di intolleranza è quella al lattosio (zucchero del latte). L'intolleranza al lattosio è un difetto genetico e consiste nella scarsa o assente produzione di un enzima chiamato lattasi, la cui funzione è quella di digerire il lattosio.
Le intolleranze alimentari derivano dall'impossibilità dell'organismo di digerire un dato alimento, a causa di difetti metabolici che possono essere causati dallo stile di vita, da stati emotivi alterati o, a volte, dall'assunzione di antibiotici. Si manifestano con una sintomatologia generale varia o con modificazioni cutanee e spesso sono correlate a disordini, in eccesso o in difetto, del peso corporeo. Le intolleranze sono riconducibili all'accumulo nel tempo delle sostanze responsabili di ipersensibilità. Considerato il periodo di latenza, non è facile accettare e comprendere un'improvvisa intolleranza a cibi inclusi nella nostra alimentazione quotidiana, come frumento, olio di oliva, latticini, ecc. L'articolo della dottoressa Michela Trevisan illustra concisamente ma in modo esauriente i vari aspetti delle intolleranze alimentari:
• il concetto di starter
• i tipi di test [su campioni di sangue, sulla tensione muscolare (kinesiologici ed elettrici)]
• quando sospettare un'intolleranza
• come curarla
Le intolleranze alimentari possono provocare, oltre che reazioni cutanee e respiratorie, anche cefalee, crisi ipertensive, ulcere gastroduodenali, colite ulcerosa, Morbo di Crohn, artralgie, mialgie, orticaria, dermatiti, acne, psoriasi, edemi, obesità, cellulite ... quindi è importante essere al corrente della loro esistenza!
E IL LATTE?
Il latte non è quella panacea che ci hanno fatto credere … anzi, intolleranza al lattosio e difficoltà di digestione del latte, secondo studi recentissimi, colpiscono circa i due terzi della popolazione mondiale. Forse perché il latte è l'alimento destinato alla crescita dei vitelli e l'uomo è l'unico che si nutre della secrezione mammaria di un altro essere?
Circa il 75% della popolazione mondiale perde l'attività enzimatica della lattasi dopo lo svezzamento. Oggi si parla di individui "lattasi persistenti" per definire coloro che mantengono la capacità di produrre l'enzima indispensabile ad una metabolizzazione del latte che non provochi problemi; uno fra tutti: l'emicrania. Non vi è ragione per la quale gli individui intolleranti al lattosio debbano sforzarsi di bere latte. In realtà il latte non offre alcun nutriente che non possa essere trovato in forma più salutare in altri cibi. Sorprendentemente, bere latte non sembra nemmeno prevenire l'osteoporosi ed ha tante altre controindicazioni. E poi una considerazione etica: molte persone, la maggior parte purtroppo, sono convinte che la produzione del latte non abbia a che fare con lo sfruttamento degli animali. In realtà l'industria casearia è responsabile di grande sofferenza. Il latte è l'alimento destinato a nutrire i piccoli, perciò per ottenerne in abbondanza e con continuità, la mucca viene ingravidata ogni anno (la gestazione dura nove mesi) e dopo pochi anni, appena la lattazione diminuisce viene destinate al macello. Il vitellino, sottoprodotto lucroso di questo ramo industriale, allattato per alcuni giorni, è allontanato per proseguire il suo infelice tragitto verso la tavola. La madre lo cerca per giorni muggendo lamentosamente, ma tanto è solo una macchina da latte (a cui sono somministrati medicinali che la rendano più potente): le vengono attaccate due volte al giorno delle pompe meccaniche per stimolare la produzione e alla fine della sua breve vita le mammelle saranno tanto allungate da non poter servire neanche ad allattare per poco l'ultimo vitellino. La macchina da latte che arriva al macello è uno degli animali più intensivamente sfruttati e maltrattati del nostro tempo.
ALIMENTAZIONE ED EFFICIENZA MENTALE - I cibi e le abitudini che aiutano la mente ...
La colazione è molto importante per mantenere una mente efficiente; gli ultimi studi hanno confermato che bambini che hanno fatto colazione ottengono migliori risultati nei test, rispetto ai bambini a digiuno. L'effetto è
dovuto all'aumento di glucosio nel sangue che a sua volta provoca nel cervello l'aumento di acetilcolina (un neurotrasmettitore). Secondo i ricercatori che lavorano in questo campo, come il Professor David Benton dell’Università del Galles (Wales University), l’acetilcolina è coinvolta nei processi della memoria poiché è stato dimostrato che le sostanze che ne bloccano la produzione distruggono la memoria, riducendo in particolare la capacità di memorizzare informazioni nuove.
Importanti anche i cereali integrali e quelli arricchiti che contengono vitamina B1 che è coinvolta nella produzione di acetilcolina. Sottolineo che quasi tutti gli obesi non fanno colazione e che quindi c'è una correlazione tra mancata colazione e mantenimento di un peso ragionevole. Importante poi nel lungo termine una alimentazione corretta e bilanciata, infatti è dimostrato che carenze di ferro inducono un abbassamento della capacita di concentrazione, memorizzazione e addirittura del quoziente intellettivo.
Oltre alla carenza di ferro a cui le donne sono più sensibili, si possono avere problemi anche con la carenza di Iodio, che ha influenza sulle capacità decisionali e sullo spirito di iniziativa. Fortunatamente le carenze di Iodio, oggi, sono presenti solo in alcune zone dell'Europa e in paesi in via di sviluppo, mentre da noi sono rare grazie al consumo di sale iodato, di pesce, di molluschi, di carne, latte e uova.
Importante inoltre l'acqua, essendo dimostrato che uno stato di disidratazione (anche lieve) implica una riduzione delle prestazioni mentali; è importante assumere spesso acqua in piccole quantità, ricordandosi che quando si ha sete si è già in stato di disidratazione.
Il caffè, e in particolare la caffeina, è un aiuto per la mente, migliora il livello di attenzione e migliora le prestazioni intellettive anche di un 10%, ma è importante non esagerare: due, tre tazzine al giorno sono sufficienti e contrastano la normale sonnolenza dopo i pasti.
L’IMPORTANZA DELLA PRIMA COLAZIONE - Decisiva in una corretta gestione del peso
Durante il lungo digiuno notturno il nostro organismo attinge alle riserve epatiche di glicogeno (catene di glucosio) per mantenere in funzione il nostro organismo; dopo 10-12 ore di digiuno però, siamo al limite delle riserve, allora cominciamo ad attingere alle proteine muscolari e ai grassi (in minor quantità) per produrre glucosio. Questo meccanismo fa entrare il corpo in chetosi, che è quella situazione fisiologica in qui si bruciano le proteine e i grassi. Fisicamente ce ne accorgiamo per l’alito pesante e per lo scarso appetito, con una leggera sensazione di nausea.
La risposta fisiologica successiva al digiuno si trasforma in un pranzo o cena abbondanti, affrontati con voracità, con un’ondata di piena al fegato e agli organi digestivi e con un massiccio immagazzinamento di grassi (dovuta alla miglior risposta insulinica creata dal digiuno).
Studi hanno dimostrato che la maggior parte delle persone obese, solitamente non fa colazione o si limita ad un caffè; una buona colazione si dimostra quindi un modo per controllare il peso. La colazione deve essere considerata uno dei tre pasti principali e dare il 15-20% delle calorie di tutta la giornata. Se non si
ha fame subito, basta assumere un bicchiere di acqua con un cucchiaino di zucchero in questo modo si blocca la chetosi.
L’alimento principe dovrebbe essere il latte parzialmente scremato (quello intero sì dà solo ai bambini) meglio se non zuccherato, con una fonte di amidi come pane o fette biscottate, quindi marmellata o miele.
Se non si riesce a digerire il latte (intolleranza al lattosio) si può utilizzare il latte delattosato. Importante ricordare che buona parte dell’apporto di calcio è dato proprio dal latte, il quale è importantissimo sia nei bambini (per il raggiungimento del picco osseo), che nelle donne adulte più esposte al rischio di osteoporosi.
ALIMENTAZIONE E SINDROME PREMESTRUALE (PMS): c'è un collegamento?
Si chiama sindrome perché comprende una serie di disturbi di tipo fisico, psicologico e comportamentale, di intensità estremamente variabile, che si possono manifestare nelle donne in età fertile, prima e durante la mestruazione.
A dispetto della superficialità con cui spesso viene trattato, il quadro di sintomi relativi alla PMS può anche risultare invalidante sul breve periodo e presenta un significativa incidenza che va dal 3 all'8% della popolazione femminile.
Il quadro fisico include tensione mammaria, gonfiore addominale, ritenzione di liquidi, cefalea, mentre i sintomi psico-emozionali si presentano in forma di ansietà, depressione, irritabilità, modificazioni del tono di umore, riduzione della libido, pianto. Anche se non ancora completamente verificate, le cause sono da attribuirsi alle modificazioni ormonali cicliche ed in particolare all’aumento di livello di prolattina e ormoni maschili, con conseguente riduzione della quota di progesterone; è provato da alcuni studi anche un coinvolgimento della serotonina, il neurotrasmettitore implicato nella regolazione del metabolismo glucidico e del tono dell’umore. Il collegamento tra sindrome premestruale, alimentazione e aspetti terapeutici non è ancora molto chiaro, ma recenti ricerche confermano che lo scatenarsi di sintomi quali ansia, edemi, difficoltà di concentrazione e depressione, si attenuano con l'assunzione di cibi che contengono magnesio e vitamina B in grandi quantità. L'adozione di un'alimentazione vegetariana, da seguire nell'arco dell'intero mese e non soltanto prima del ciclo, completamente priva di prodotti di derivazione animale e comprendente quantità minime di grassi vegetali è risultata efficace nel trattamento della sindrome premestruale e anche dei dolori mestruali.
COSA E QUANTO MANGIARE PER SEGUIRE UNA DIETA CORRETTA Per soddisfare le esigenze del nostro organismo è necessario introdurre tutti i principi nutritivi in proporzioni diverse. La piramide alimentare è un ottimo sistema per capire cosa mangiare: alla base ci sono i carboidrati (cereali, pasta, pane, riso e patate), sopra ci sono frutta e verdura insieme a latte e yogurt, quindi uova ed insaccati, formaggi, carne, legumi, pesce ed infine grassi da condimento e zucchero (di cui è consigliato un uso limitato).
Precisamente la dieta dovrebbe essere composta da: Carboidrati 55-65% di cui semplici (zucchero) al massimo un 10% e complessi (pane pasta, riso, patate) il restante 45%, Lipidi 30%, Proteine 15% (precisamente 1 grammo per Kg di peso corporeo ideale).
ALIMENTAZIONE E SISTEMA IMMUNITARIO
Il nostro sistema immunitario ci protegge da batteri, virus e altri organismi cause di malattie. È un complesso ed efficiente sistema di difesa. Può la nostra alimentazione influire sul sistema immunitario?
Il sistema immunitario ci protegge dalle malattie. Data la sua complessità, è estremamente difficile stabilire quale possa essere l’influenza della nostra alimentazione, tuttavia, i risultati di alcune ricerche hanno individuato che alcuni fattori dietetici incidono sulla reazione immunitaria umana. L’apporto di energia sembra incidere in modo significativo sull’attività immunitaria, infatti la popolazione sottoalimentata corre maggior rischio di infezioni. Anche i regimi dimagranti che prevedono un apporto giornaliero inferiore a 1200 calorie, possono indebolire la funzione immunitaria; un’ottima ragione per evitare le dannose “diete-lampo”. Per contro, anche un eccessivo apporto di energia può compromettere la capacità del sistema immunitario di combattere le infezioni. L’obesità, infatti, è spesso legata ad un aumento delle malattie infettive. Le persone obese, inoltre, sono più esposte all’insorgenza di cardiopatie coronariche che, a loro volta, sono collegate ad alcune alterazioni della funzione immunitaria. Ridurre la quantità di grassi nella propria alimentazione è importante al fine di tenere sotto controllo il peso, ma sembra anche incidere sul buon funzionamento del sistema immunitario. Le diete ad alto contenuto di grassi sembrano ridurre l’efficacia della reazione immunitaria facendo aumentare il rischio di infezioni. La riduzione del contenuto di grasso nella dieta può aumentare l’attività immunitaria, che può non solo combattere le infezioni, ma anche rafforzare le cellule immunitarie che combattono le cellule tumorali. Ma attenzione, non è importante solamente la quantità digrasso, è determinante anche la sua origine. Poiché abbiamo bisogno di un apporto equilibrato di diversi acidi grassi, è importante includere nella nostra dieta pesce azzurro, noci, olio di soia o oli di semi. Il consumo regolare di prodotti caseari fermentati quali lo yogurt o il kefir (prodotto da fermentazione del latte con una flora composta da lieviti e batteri lattici) può rafforzare le difese immunitarie dell’intestino. Sono tuttavia necessarie ulteriori ricerche per completare questo studio. Per lavorare efficacemente, il sistema immunitario ha bisogno di un apporto regolare di vitamine e sali minerali. Ciò può essere ottenuto attraverso un regime alimentare ben equilibrato che prevede il consumo regolare di frutta e verdura e di prodotti caseari fermentati come lo yogurt. Fino ad oggi, la maggior parte delle ricerche dimostra che gli integratori di vitamine e minerali non sono necessari per stimolare una particolare reazione immunitaria in soggetti sani e ben nutriti. Mentre, uno studio recente condotto su persone anziane ha dimostrato che integratori possono rinforzare il sistema immunitario.
LE INTOLLERANZE ALIMENTARI: CHE COSA SONO?
Per intolleranza si intende la reazione anomala dell'organismo ad una sostanza estranea, non mediata dal sistema immunitario. Un esempio classico di intolleranza è quella al lattosio (zucchero del latte). L'intolleranza al lattosio è un difetto genetico e consiste nella scarsa o assente produzione di un enzima chiamato lattasi, la cui funzione è quella di digerire il lattosio.
Le intolleranze alimentari derivano dall'impossibilità dell'organismo di digerire un dato alimento, a causa di difetti metabolici che possono essere causati dallo stile di vita, da stati emotivi alterati o, a volte, dall'assunzione di antibiotici. Si manifestano con una sintomatologia generale varia o con modificazioni cutanee e spesso sono correlate a disordini, in eccesso o in difetto, del peso corporeo. Le intolleranze sono riconducibili all'accumulo nel tempo delle sostanze responsabili di ipersensibilità. Considerato il periodo di latenza, non è facile accettare e comprendere un'improvvisa intolleranza a cibi inclusi nella nostra alimentazione quotidiana, come frumento, olio di oliva, latticini, ecc. L'articolo della dottoressa Michela Trevisan illustra concisamente ma in modo esauriente i vari aspetti delle intolleranze alimentari:
• il concetto di starter
• i tipi di test [su campioni di sangue, sulla tensione muscolare (kinesiologici ed elettrici)]
• quando sospettare un'intolleranza
• come curarla
Le intolleranze alimentari possono provocare, oltre che reazioni cutanee e respiratorie, anche cefalee, crisi ipertensive, ulcere gastroduodenali, colite ulcerosa, Morbo di Crohn, artralgie, mialgie, orticaria, dermatiti, acne, psoriasi, edemi, obesità, cellulite ... quindi è importante essere al corrente della loro esistenza!
E IL LATTE?
Il latte non è quella panacea che ci hanno fatto credere … anzi, intolleranza al lattosio e difficoltà di digestione del latte, secondo studi recentissimi, colpiscono circa i due terzi della popolazione mondiale. Forse perché il latte è l'alimento destinato alla crescita dei vitelli e l'uomo è l'unico che si nutre della secrezione mammaria di un altro essere?
Circa il 75% della popolazione mondiale perde l'attività enzimatica della lattasi dopo lo svezzamento. Oggi si parla di individui "lattasi persistenti" per definire coloro che mantengono la capacità di produrre l'enzima indispensabile ad una metabolizzazione del latte che non provochi problemi; uno fra tutti: l'emicrania. Non vi è ragione per la quale gli individui intolleranti al lattosio debbano sforzarsi di bere latte. In realtà il latte non offre alcun nutriente che non possa essere trovato in forma più salutare in altri cibi. Sorprendentemente, bere latte non sembra nemmeno prevenire l'osteoporosi ed ha tante altre controindicazioni. E poi una considerazione etica: molte persone, la maggior parte purtroppo, sono convinte che la produzione del latte non abbia a che fare con lo sfruttamento degli animali. In realtà l'industria casearia è responsabile di grande sofferenza. Il latte è l'alimento destinato a nutrire i piccoli, perciò per ottenerne in abbondanza e con continuità, la mucca viene ingravidata ogni anno (la gestazione dura nove mesi) e dopo pochi anni, appena la lattazione diminuisce viene destinate al macello. Il vitellino, sottoprodotto lucroso di questo ramo industriale, allattato per alcuni giorni, è allontanato per proseguire il suo infelice tragitto verso la tavola. La madre lo cerca per giorni muggendo lamentosamente, ma tanto è solo una macchina da latte (a cui sono somministrati medicinali che la rendano più potente): le vengono attaccate due volte al giorno delle pompe meccaniche per stimolare la produzione e alla fine della sua breve vita le mammelle saranno tanto allungate da non poter servire neanche ad allattare per poco l'ultimo vitellino. La macchina da latte che arriva al macello è uno degli animali più intensivamente sfruttati e maltrattati del nostro tempo.
ALIMENTAZIONE ED EFFICIENZA MENTALE - I cibi e le abitudini che aiutano la mente ...
La colazione è molto importante per mantenere una mente efficiente; gli ultimi studi hanno confermato che bambini che hanno fatto colazione ottengono migliori risultati nei test, rispetto ai bambini a digiuno. L'effetto è
dovuto all'aumento di glucosio nel sangue che a sua volta provoca nel cervello l'aumento di acetilcolina (un neurotrasmettitore). Secondo i ricercatori che lavorano in questo campo, come il Professor David Benton dell’Università del Galles (Wales University), l’acetilcolina è coinvolta nei processi della memoria poiché è stato dimostrato che le sostanze che ne bloccano la produzione distruggono la memoria, riducendo in particolare la capacità di memorizzare informazioni nuove.
Importanti anche i cereali integrali e quelli arricchiti che contengono vitamina B1 che è coinvolta nella produzione di acetilcolina. Sottolineo che quasi tutti gli obesi non fanno colazione e che quindi c'è una correlazione tra mancata colazione e mantenimento di un peso ragionevole. Importante poi nel lungo termine una alimentazione corretta e bilanciata, infatti è dimostrato che carenze di ferro inducono un abbassamento della capacita di concentrazione, memorizzazione e addirittura del quoziente intellettivo.
Oltre alla carenza di ferro a cui le donne sono più sensibili, si possono avere problemi anche con la carenza di Iodio, che ha influenza sulle capacità decisionali e sullo spirito di iniziativa. Fortunatamente le carenze di Iodio, oggi, sono presenti solo in alcune zone dell'Europa e in paesi in via di sviluppo, mentre da noi sono rare grazie al consumo di sale iodato, di pesce, di molluschi, di carne, latte e uova.
Importante inoltre l'acqua, essendo dimostrato che uno stato di disidratazione (anche lieve) implica una riduzione delle prestazioni mentali; è importante assumere spesso acqua in piccole quantità, ricordandosi che quando si ha sete si è già in stato di disidratazione.
Il caffè, e in particolare la caffeina, è un aiuto per la mente, migliora il livello di attenzione e migliora le prestazioni intellettive anche di un 10%, ma è importante non esagerare: due, tre tazzine al giorno sono sufficienti e contrastano la normale sonnolenza dopo i pasti.
L’IMPORTANZA DELLA PRIMA COLAZIONE - Decisiva in una corretta gestione del peso
Durante il lungo digiuno notturno il nostro organismo attinge alle riserve epatiche di glicogeno (catene di glucosio) per mantenere in funzione il nostro organismo; dopo 10-12 ore di digiuno però, siamo al limite delle riserve, allora cominciamo ad attingere alle proteine muscolari e ai grassi (in minor quantità) per produrre glucosio. Questo meccanismo fa entrare il corpo in chetosi, che è quella situazione fisiologica in qui si bruciano le proteine e i grassi. Fisicamente ce ne accorgiamo per l’alito pesante e per lo scarso appetito, con una leggera sensazione di nausea.
La risposta fisiologica successiva al digiuno si trasforma in un pranzo o cena abbondanti, affrontati con voracità, con un’ondata di piena al fegato e agli organi digestivi e con un massiccio immagazzinamento di grassi (dovuta alla miglior risposta insulinica creata dal digiuno).
Studi hanno dimostrato che la maggior parte delle persone obese, solitamente non fa colazione o si limita ad un caffè; una buona colazione si dimostra quindi un modo per controllare il peso. La colazione deve essere considerata uno dei tre pasti principali e dare il 15-20% delle calorie di tutta la giornata. Se non si
ha fame subito, basta assumere un bicchiere di acqua con un cucchiaino di zucchero in questo modo si blocca la chetosi.
L’alimento principe dovrebbe essere il latte parzialmente scremato (quello intero sì dà solo ai bambini) meglio se non zuccherato, con una fonte di amidi come pane o fette biscottate, quindi marmellata o miele.
Se non si riesce a digerire il latte (intolleranza al lattosio) si può utilizzare il latte delattosato. Importante ricordare che buona parte dell’apporto di calcio è dato proprio dal latte, il quale è importantissimo sia nei bambini (per il raggiungimento del picco osseo), che nelle donne adulte più esposte al rischio di osteoporosi.
ALIMENTAZIONE E SINDROME PREMESTRUALE (PMS): c'è un collegamento?
Si chiama sindrome perché comprende una serie di disturbi di tipo fisico, psicologico e comportamentale, di intensità estremamente variabile, che si possono manifestare nelle donne in età fertile, prima e durante la mestruazione.
A dispetto della superficialità con cui spesso viene trattato, il quadro di sintomi relativi alla PMS può anche risultare invalidante sul breve periodo e presenta un significativa incidenza che va dal 3 all'8% della popolazione femminile.
Il quadro fisico include tensione mammaria, gonfiore addominale, ritenzione di liquidi, cefalea, mentre i sintomi psico-emozionali si presentano in forma di ansietà, depressione, irritabilità, modificazioni del tono di umore, riduzione della libido, pianto. Anche se non ancora completamente verificate, le cause sono da attribuirsi alle modificazioni ormonali cicliche ed in particolare all’aumento di livello di prolattina e ormoni maschili, con conseguente riduzione della quota di progesterone; è provato da alcuni studi anche un coinvolgimento della serotonina, il neurotrasmettitore implicato nella regolazione del metabolismo glucidico e del tono dell’umore. Il collegamento tra sindrome premestruale, alimentazione e aspetti terapeutici non è ancora molto chiaro, ma recenti ricerche confermano che lo scatenarsi di sintomi quali ansia, edemi, difficoltà di concentrazione e depressione, si attenuano con l'assunzione di cibi che contengono magnesio e vitamina B in grandi quantità. L'adozione di un'alimentazione vegetariana, da seguire nell'arco dell'intero mese e non soltanto prima del ciclo, completamente priva di prodotti di derivazione animale e comprendente quantità minime di grassi vegetali è risultata efficace nel trattamento della sindrome premestruale e anche dei dolori mestruali.
Le bevande gassate fanno male ai reni...
Non solo il sale, anche le bevande zuccherate fanno male ai reni
Due o più lattine al giorno accelerano inesorabilmente il deterioramento dei reni, ma solo se nella bibita ci sono dolcificanti artificiali e non semplice zucchero
MILANO - In inglese, sembrano quasi un duo da cartone animato: sodium e soda. Ma con loro non c'è nulla da ridere: sono il sale e le bevande zuccherate, che alla lunga lista dei danni procurati alla nostra salute adesso devono aggiungere l'ultimo sospetto, ventilato da due ricerche presentate all'ultimo congresso dell'American Society of Nephrology a San Diego. Secondo il nuovo atto d'accusa, sarebbero responsabili di danneggiare i reni, alla lunga.
DONNE - Le due ricerche arrivano da Julie Lin e Gary Curhan, due ricercatori del Brigham's and Women Hospital di Boston, che hanno rivalutato i dati di circa 3mila donne seguite per 11 anni nell'ambito del Nurses Health Study, per verificare se vi fosse un'associazione fra certe abitudini alimentari e la comparsa di danni ai reni. Il primo dei due studi depone a sfavore del sale: chi aveva una dieta ricca di sodio vedeva un declino più marcato e precoce della funzionalità dei reni rispetto alle donne che mangiavano poco salato. Il secondo punta il dito sulle bevande zuccherate e ha cercato di correlare lo stato di salute dei reni al consumo di bevande dolcificate con zucchero o con dolcificanti artificiali. Anche qui, risultati netti e condanna per i drink: due o più lattine al giorno accelerano inesorabilmente il deterioramento dei reni, ma solo se nella bevanda ci sono dolcificanti artificiali e non semplice zucchero. L'associazione pericolosa persiste pur tenendo conto di innumerevoli fattori che potrebbero in qualche modo "inquinare" il dato, dall'età alla presenza di malattie come ipertensione o diabete.
INDIZI - Se è comprensibile ipotizzare che troppo sale faccia male ai reni, se non altro per interposta ipertensione, meno semplice è spiegare l'associazione fra dolcificanti e danni renali. Anche se, a dire il vero, non è la prima volta che i cosiddetti «soft drinks» vengono messi sotto accusa per i loro effetti sui reni: proprio un anno fa la rivista PLoS One pubblicò uno studio che, andando a rivedere i dati di oltre 12 mila partecipanti del National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES, 1999-2004), dimostrava una correlazione fra il consumo di bevande zuccherate e l'albuminuria, ovvero la presenza di proteine nelle urine che è segno inequivocabile di una funzionalità renale che scricchiola. Anche in quel caso il rischio cresceva all'aumentare delle lattine bevute (escluse le formule «diet»), arrivando a raddoppiare con più di due bibite al giorno, ma tutto ciò si verificava soltanto nelle donne e soprattutto in chi non era troppo in sovrappeso: nelle donne amanti delle bevande zuccherate con un indice di massa corporea inferiore a 25 la probabilità di trovare proteine nelle urine è risultata più che doppia.
IPOTESI - Quanto ai motivi che possano spiegare questi dati, però, non c'è che una ridda di ipotesi. Forse la colpa è dei troppi zuccheri in sé: le bevande zuccherate non hanno molti nutrienti, ma al contrario possono essere, in alcuni casi, vere «bombe dolci». C'è chi invece ritiene responsabile lo sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio, che si trova come dolcificante in moltissimi prodotti, e chi ricorda che qualche tempo fa, nelle bibite che contenevano questo sciroppo, si erano trovate tracce di mercurio. Non manca l'accusa all'aspartame: anche a seguito dei sospetti in Inghilterra, proprio in questo periodo, sta partendo una ricerca che mira a verificare su un centinaio di volontari i disturbi che effettivamente possono colpire i soggetti che si definiscono sensibili a questo dolcificante. Difficile dire chi ha ragione o dove stia la reale causa dell'associazione fra bibite e danni ai reni, perché la ricerca di PLoS One e gli studi appena presentati a San Diego sono gli unici casi in cui i ricercatori si sono presi la briga di andare a vedere la relazione fra lattine e salute dei reni; sta di fatto che sono sempre di più gli aficionados della lattina, anche nel nostro Paese, e sono in crescita pure i casi di insufficienza renale. Provare a capire se fra questi due dati c'è un nesso, allora, potrebbe non essere così inutile.
Due o più lattine al giorno accelerano inesorabilmente il deterioramento dei reni, ma solo se nella bibita ci sono dolcificanti artificiali e non semplice zucchero
MILANO - In inglese, sembrano quasi un duo da cartone animato: sodium e soda. Ma con loro non c'è nulla da ridere: sono il sale e le bevande zuccherate, che alla lunga lista dei danni procurati alla nostra salute adesso devono aggiungere l'ultimo sospetto, ventilato da due ricerche presentate all'ultimo congresso dell'American Society of Nephrology a San Diego. Secondo il nuovo atto d'accusa, sarebbero responsabili di danneggiare i reni, alla lunga.
DONNE - Le due ricerche arrivano da Julie Lin e Gary Curhan, due ricercatori del Brigham's and Women Hospital di Boston, che hanno rivalutato i dati di circa 3mila donne seguite per 11 anni nell'ambito del Nurses Health Study, per verificare se vi fosse un'associazione fra certe abitudini alimentari e la comparsa di danni ai reni. Il primo dei due studi depone a sfavore del sale: chi aveva una dieta ricca di sodio vedeva un declino più marcato e precoce della funzionalità dei reni rispetto alle donne che mangiavano poco salato. Il secondo punta il dito sulle bevande zuccherate e ha cercato di correlare lo stato di salute dei reni al consumo di bevande dolcificate con zucchero o con dolcificanti artificiali. Anche qui, risultati netti e condanna per i drink: due o più lattine al giorno accelerano inesorabilmente il deterioramento dei reni, ma solo se nella bevanda ci sono dolcificanti artificiali e non semplice zucchero. L'associazione pericolosa persiste pur tenendo conto di innumerevoli fattori che potrebbero in qualche modo "inquinare" il dato, dall'età alla presenza di malattie come ipertensione o diabete.
INDIZI - Se è comprensibile ipotizzare che troppo sale faccia male ai reni, se non altro per interposta ipertensione, meno semplice è spiegare l'associazione fra dolcificanti e danni renali. Anche se, a dire il vero, non è la prima volta che i cosiddetti «soft drinks» vengono messi sotto accusa per i loro effetti sui reni: proprio un anno fa la rivista PLoS One pubblicò uno studio che, andando a rivedere i dati di oltre 12 mila partecipanti del National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES, 1999-2004), dimostrava una correlazione fra il consumo di bevande zuccherate e l'albuminuria, ovvero la presenza di proteine nelle urine che è segno inequivocabile di una funzionalità renale che scricchiola. Anche in quel caso il rischio cresceva all'aumentare delle lattine bevute (escluse le formule «diet»), arrivando a raddoppiare con più di due bibite al giorno, ma tutto ciò si verificava soltanto nelle donne e soprattutto in chi non era troppo in sovrappeso: nelle donne amanti delle bevande zuccherate con un indice di massa corporea inferiore a 25 la probabilità di trovare proteine nelle urine è risultata più che doppia.
IPOTESI - Quanto ai motivi che possano spiegare questi dati, però, non c'è che una ridda di ipotesi. Forse la colpa è dei troppi zuccheri in sé: le bevande zuccherate non hanno molti nutrienti, ma al contrario possono essere, in alcuni casi, vere «bombe dolci». C'è chi invece ritiene responsabile lo sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio, che si trova come dolcificante in moltissimi prodotti, e chi ricorda che qualche tempo fa, nelle bibite che contenevano questo sciroppo, si erano trovate tracce di mercurio. Non manca l'accusa all'aspartame: anche a seguito dei sospetti in Inghilterra, proprio in questo periodo, sta partendo una ricerca che mira a verificare su un centinaio di volontari i disturbi che effettivamente possono colpire i soggetti che si definiscono sensibili a questo dolcificante. Difficile dire chi ha ragione o dove stia la reale causa dell'associazione fra bibite e danni ai reni, perché la ricerca di PLoS One e gli studi appena presentati a San Diego sono gli unici casi in cui i ricercatori si sono presi la briga di andare a vedere la relazione fra lattine e salute dei reni; sta di fatto che sono sempre di più gli aficionados della lattina, anche nel nostro Paese, e sono in crescita pure i casi di insufficienza renale. Provare a capire se fra questi due dati c'è un nesso, allora, potrebbe non essere così inutile.
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